Cismon la valle dei sogni
Sono ritornato ad arrampicare sulla grigia roccia di Cismon. Per diverso tempo non ho potuto allungarmi sui suoi appigli, ma ne ho sempre sentito la nostalgia e la famosa frase “ prima o poi ci torno” non è mai uscita dalla mia testa. Cismon, grande amore e come davanti ad ogni grande amore, la prima volta siamo scappati a gambe levate. Ma andiamo per ordine. Correva l’ anno 1986, avevo appena terminato il primo corso di alpinismo organizzato dalla sezione di Pieve di Soligo e continuavo ad arrampicare sulle rocce della valle di Schievenin, dove incontrai altri giovani con i quali condivisi fin da subito quella febbre maledetta che mi aveva preso e che non mi avrebbe più abbandonato. Come cercatori d’oro impazziti cercavamo roccia su cui arrampicare e Mauro ci raccontò di una enorme parete a picco sulla strada che aveva visto mentre andava al lavoro percorrendo la Valsugana. Una domenica, dopo aver trovato faticosamente uno straccio di relazione (ancora adesso mi chiedo come abbia fatto),mi caricò assieme a Frindo ed il Boss sul furgone di suo padre e via a tutto gas lasciandoci dietro una nuvola di fumo nero; solo il fatto di non girare per Quero ma proseguire dritti per Feltre ci elettrizzò e continuammo a tempestarlo di domande riguardo a questa misteriosa parete per tutto il tragitto. Ma quella volta ci venne veramente il groppo alla gola quando lo sguardo si alzò su quelle placche, si alzò, si alzò e si perse, dopo un lungo silenzio, nel blu limpido del cielo. Ci guardammo bene dal tirare fuori il materiale e…….. dopo aver avuto conferma da una cordata già impegnata su una liscia placca che quella era la via che dovevamo affrontare, le nostre gole gorgogliarono un flebile “ va bene, tutti a S. Felicità “ e ci allontanammo con il peso di tutta la parete sopra il nostro furgoncino bianco, sperando che non ci ingoiasse per via della nostra ritirata. Però la febbre continuava a divorarmi e mi faceva risuolare le già vecchie scarpette che mi aveva regalato Martino, in un impeto di sana pietà, dopo avermi visto ravanare a più non posso sul muro nero della Lavagna a Schievenin, con gli scarponi consigliati per arrampicare in montagna: come si può capire imparai a mie spese che le scarpette si potevano usare anche in montagna e con risultati molto soddisfacenti. Come si diceva a quel tempo, e non solo in ambito alpinistico, “ mi feci le ossa “ e già quell’ anno affrontai la parete tutta da capocordata con il Baù che mi seguiva terrorizzato dai delicati traversi che ci proponeva la via “ IL RITORNO DALL’ OLTRETOMBA “. Il nome non era proprio rassicurante, ma entusiasmante è il ricordo che conservo di quella giornata in cui mi prendevo la gioia di salire tutta “ a vista “ la via dalla quale qualche mese prima avevo abbassato lo sguardo. Apro una piccola parentesi : “a vista “ significa superare un pezzo di parete compreso tra una sosta e l’ altra, oppure un tiro di corda in falesia senza conoscere l’ itinerario, senza fermarsi a riposare sui chiodi e senza usare altro materiale per la progressione se non quello che ci ha fornito il buon Dio, cioè MANI-PIEDI-TESTA. Questa progressione, quando riesce, eleva l’arrampicatore alla massima potenza, qualsiasi sia la difficoltà superata e perciò è facilmente comprensibile capire il mio stato d’animo dopo aver “ tirato a vista “ da primo i sei tiri della via. Solo il fatto di essermi autoassicurato su un grosso faggio sul boschetto sommitale della parete, per recuperare il mio coraggioso compagno che mi accompagnava impavido, mi impedì di svolazzare nell’ aria limpida di quella splendida giornata settembrina. Tornai molte volte a Cismon, in cordata, in notturna, in solitaria, conobbi altri arrampicatori, salii altri itinerari, conobbi un po’ di più me stesso. Condivisi quelle pareti, rese assordanti dal rombo delle motociclette lanciate a tutta velocità sullo stradone ai suoi piedi, con diversi compagni , amai quelle vie che, quando sei da primo, ti tolgono tutti i pensieri dalla testa, ti svuotano, ti danno la sensazione di essere solo, appeso solo a te stesso e quando guardi il fiume di macchine che corrono come formiche impazzite sotto di te, mentre assicuri il tuo compagno, non puoi fare a meno di pensare che bè, se proprio vogliamo fare paragoni, non siamo proprio matti del tutto. Sono emozionato, dopo tanti anni sono ancora qui , legato alla base della parete , ma c’è qualcosa di strano nell’ aria, percepisco altre presenze oltre a quella di Michele, che sto assicurando, mentre parte per il primo tiro di corda . Arriva in sosta, mi fa cenno di partire e salgo, è incredibile , dopo anni accarezzo, sfioro e stringo gli stessi appigli che tanta soddisfazione mi hanno dato. Se vogliamo dirla proprio tutta, sono molto teso, impacciato nei primi legnosi movimenti, però man mano che salgo ritrovo la fluidità del movimento e raggiungo velocemente la sosta. Osservo Michele, e non posso non ritornare con la mente indietro di tanti anni e mi chiedo se anche lui prova le stesse sensazioni che provai anch’io, infatti, per lui è la prima volta su questa grande parete e la via che ho scelto per il suo “ battesimo “ non è proprio la più facile. Dopo avergli fatto i complimenti ed esserci scambiati il materiale, parto. La sensazione di prima ritorna e…mi rendo conto di non essere solo, ….questo mi dà una serenità incredibile, attorno a me vedo volti familiari di tutte le persone che mi hanno accompagnato su questa enorme sacca di pelle rugosa, occhi felici di chi ha trovato un po’ di serenità danzando sulla roccia, mentre il mondo attorno, almeno per un po’, si dileguava. C’è chi arrampica ancora, chi ha smesso, chi ha seguito altri sogni, chi purtroppo è scivolato sugli appigli, chi invece la vita gli è sfuggita di mano senza un perché. Anni di ricordi, di sensazioni, di condivisione su come vivere questa strana cosa che è il mondo. Alcuni di questi compagni li frequento ancora, con altri le strade si sono divise, è strano come pur parlando la stessa lingua a volte si faccia fatica a comprendersi ed ad accettarsi. Sento le strette di mano in cima al pianoro, le perle luccicanti degli sguardi che non hanno bisogno di parole. Vedo Sara che oltre ad aver accettato di seguirmi su questi appigli che fanno parte del mio essere , mi ha accolto e donato spero ancora per molti anni il suo amore. Vedo i miei figli che probabilmente non porterò mai quassù, per il semplice fatto che hanno altri interessi , vedo il mio compagno farsi sempre più piccolo mentre cerco appigli per poter salire, salire, salire. La parete dal canto suo sembra indifferente a tutte queste riflessioni o al fatto di avere due omuncoli che le si strusciano contro sperando che le dita non si aprano o che i piedi riescano a tenere in perfetto equilibrio la loro vita mai come in questo momento sospesa al fragile filo dell’ esistenza. Ma so che non è così, non può essere così, sono certo che anche lei si ricorda di tutti i “ Ragni “ che l’hanno solleticata, di chi l’ ha scoperta, di chi l’ha amata e di chi l’ ha odiata ……… Arrivo in cima, recupero Michele, mi scuso perchè, forse, la via è un po’ troppo impegnativa per lui, forse l’ ho un po’ usato. Lui mi guarda stravolto, sudato, sfinito, comunque contento, mi sorride, mi tende la mano, mi perdona. Scendendo il sentiero che porta alla base gli illustro le altre possibilità della parete, gli elenco i nomi delle vie. Prima di salire in macchina accarezzo con lo sguardo ancora una volta la parete, lei fa finta di niente, come sempre, comunque so che le piace essere scrutata e salita, ma so anche che verrà il momento in cui dovrò accontentarmi solo di osservarla, in silenzio, come la prima volta,con il groppo alla gola e chissà che non sia la volta buona, che mi dia un segno , uno qualsiasi, che mi faccia capire che avevo ragione, ……..che lei è viva.
Guardo fuori dalla finestra, la prima neve dell’ anno scende silenziosa e lieve, penso al manto bianco che coprirà Cismon e non posso fare a meno di sorridere e sentirmi felice.
25 novembre 2005
A Claudio,Ornella, Massimiliano
e
a tutti coloro che si sentono tirati in ballo da questo scritto
Franco Donadel